Category Archives: Soluzioni IT

Cyber Security

30 Gen , 2017,
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Conoscere e riconoscere minacce e opportunità della rete

Quante volte facciamo attenzione a quello che scarichiamo sul nostro PC?

Quando navighiamo in internet siamo sicuri di non incorrere in “click” pericolosi?

La possibilità di utilizzare diversi strumenti e di essere sempre connessi aumenta le possibilità di comunicazione ma aumenta anche i rischi di sicurezza.

cyber security

Ma cosa si intende esattamente con Cyber Security.

Con il termine Cyber Security ci si riferisce all’insieme delle attività che riguardano l’ analisi delle minacce, delle vulnerabilità e dei rischi associati agli asset informatici, al fine di pianificare le attività e gli strumenti necessari a  proteggerli da possibili attacchi (interni o esterni) evitando così danni  fatali per l’attività aziendale.

Definire e sviluppare protezioni sotto il profilo tecnico tuttavia non basta a garanditire uno standard di sicurezza efficace.  E’ fondamentale saper gestire e monitorare le funzionalità degli stessi dispositivi tecnici, attraverso una responsabilizzazione cosciente anche dell’utente finale sugli strumenti e le azioni protettive che devono essere compiute.

In parole povere stiamo parlando di tutte le attività semplici ( aggiornamenti antivirus, attenzione nel  download di email e web ecc.) che ogni utente deve conoscere e compiere  per mantenere efficace la tecnologia di protezione che viene usata.

Tra gli strumenti software di protezione più importanti, Esseti propone e installa nelle reti aziendali su cui opera, AVG che offre soluzioni business efficaci a costi limitati, utilizzando  strumenti di controllo remoto per ottimizzare e facilitare  le operazione di gestione della sicurezza informatica (AVG ADMIN CONSOLLE).

AVG ADMIN CONSOLLE è un semplice strumento desktop remoto che segnala in tempo reale i computer non conformi consentendo l’ intervento in base alle esigenze, permette appunto di controllare in remoto tutto il palco macchine della rete aziendale semplificando le operazioni di controllo e riducendo i tempi di inattività degli utenti.

 

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Un alleato prezioso per i propri dati: il NAS (Network Attached Storage)

Gen , 2017,
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Strumenti per organizzazione, raccolta e protezione dei dati aziendali

Una delle esigenze da sempre più sentite in ambito aziendale è l’accentramento delle informazioni, dei dati e dei documenti in modo da potervi accedere in modo sicuro e fruirne facilmente in caso di necessità.

Malgrado la sempre maggiore diffusione del Cloud e di servizi quali Google Drive, Office 365, Dropbox, appare evidente come per ovvie ragioni di Governance, di Riservatezza e di Sicurezza non sia pensabile affidare alle “nuvole” tutto il sapere aziendale.

Resta quindi per il professionista e la piccola impresa la necessità di dotarsi di un server locale, “on premise”, cui affidare il ruolo di file server, andando incontro a investimenti importanti in Hardware, licenze software e a costi di gestione spesso rilevanti.

Non tutti però sanno che possono rispondere facilmente ai loro bisogni e ridurre i costi affidando il ruolo di archiviazione e condivisione ai NAS (Network Attached Storage) che spesso sono considerati come semplici dischi dotati di presa di rete ma che sono in realtà veri e propri server dotati di sistema operativo e software di gestione.

Possiamo in pratica considerare i NAS come dischi “intelligenti” e quindi configurabili in diverse modalità, per archiviare, condividere, integrarsi in reti LAN esistenti, dialogare con altri server della rete o semplicemente effettuare operazioni di backup, abbattendo i costi di investimento iniziale e di manutenzione operativa e facilitando l’accesso ai dati.

NAS

NAS (Network Attached Storage)

Esseti è in grado di proporre, sul proprio sito di e-commerce IctPlaza, una vasta gamma di prodotti NAS ed è a vostra disposizione per individuare insieme la soluzione su misura per voi.

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Il tuo sito web è responsive?

24 Gen , 2017,
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responsiveIl tuo sito web è pronto per essere visualizzato sui dispositivi mobili?

L’ottimizzazione per differenti dimensioni degli schermi è un’attività imprescindibile nella realizzazione di un sito web. L’obiettivo è quello di rispondere alle esigenze di accessibilità degli utenti da diversi dispositivi. In questo modo il visitatore può vedere i contenuti presenti ottimizzati a seconda delle dimensioni del proprio device.

Lo scorso 31 ottobre il noto sito di web marketing Search Engine Journal riporta la notizia (vai alla notizia) diffusa dall’Agenzia Reuters (vai al report) che segnala che nel 2017 il 75% dell’uso di internet sarà mobile. Reuters ha riportato inoltre l’estratto di uno studio compiuto dall’agenzia Zenith, che opera nel settore dei media, la quale anticipa anche che nel 2018 il 60% della spesa per la pubblicità nel web sarà dedicata al settore “mobile”.

Google ci aiuta a capire se il nostro sito web è responsive offrendoci uno strumento per misurare il grado di responsività di un sito!

Sai se il tuo sito passa il test di responsività di Google?

È un test che Google mette a disposizione di coloro che vogliono verificare se un sito web rispecchia certi parametri di navigabilità sui dispositivi mobili quali smartphone e tablet.

Testa il tuo sito: https://www.google.com/webmasters/tools/mobile-friendly

Ritorna anche a te il testo: “Fantastico. Questa pagina è ottimizzata per i dispositivi mobili.” ?

Se la risposta non è questa e hai bisogno di aiuto il team di Esseti è a tua disposizione!

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Mobile Trasformation: dove si concentreranno le strategie di digital marketing

15 Ott , 2016,
esseti
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Fonte: digital4.biz; dday.it

L’utilizzo sempre più costante dei dispositivi mobili trasforma inevitabilmente le strategie e gli orientamenti delle aziende. Le aziende stanno quindi sviluppando con sempre più necessità, strategie di marketing in grado di  rispondere in modo originale e innovativo a questa evoluzione dei consumatori, adottando sempre di più politiche mobile-oriented.

Questa necessità oggi si conferma anche con l’annuncio che Google sta per separare l’indice dei siti, tramite il quale fornisce risultati alle ricerche, in due. L’indice mobile verrà scorporato da quello desktop, sarà più aggiornato e fornirà risultati con più velocità. Una rivoluzione silenziosa che cambierà radicalmente il modo di ottenere risultati dal motore di ricerca.

È quanto affermato dall’analista Gary Illyes, Webmaster Trends Analyst di Google, dal palco della PubCon, l’evento dedicato al digital marketing.

Secondo Illyes, non solo verrà creato un indice per i dispositivi mobile, ma verrà anche privilegiato. Significa che, a parità di termini di ricerca, i risultati che fornirà Google saranno molto differenti a seconda che la ricerca venga effettuata da dispositivo mobile o desktop.

Sembra che il nuovo indice, quello mobile, verrà privilegiato, aggiornato più frequentemente e sarà in grado di produrre risultati “più freschi”.

Questa mossa, perfettamente plausibile, rientra nella strategia già adottata circa un anno fa, quando Google decise di penalizzare i siti non mobile friendly , ovvero non ottimizzati per la visualizzazione su smartphone, ed è conseguenza delle altissime percentuali di navigazione web su smartphone a discapito dei computer fissi.Lo smartphone rappresenta oggi un touch point dalle mille opportunità, capace di creare modalità di ingaggio dei consumatori del tutto nuove.

Conviene quindi porre particoalre attenzione al canale mobile, visto anche che l’importanza dell’utilizzo di questi dispositivi per le vendite on-line.

Secondo recenti studi, il valore delle vendite online provenienti da smartphone vale il 10% del totale e-commerce italiano. Il il 41% degli utenti effettua acquisti di beni e servizi dal proprio smartphone e il 55% utilizza il dispositivo fuori dal negozio per controllare prezzi e promozioni. Non a caso l’advertising online, nel primo trimestre del 2016 è cresciuto del 135,4%.

La quantità di dati in “transito” dal canale mobile è quindi quella su cui si pone maggiore attenzione anche perchè consente di misurare in tempi brevissimi i ritorni e le risposte delle strategie adottate.

Le stesse strategie per l’indicizzazione e il posizionamento adottate dalle aziende market-oriented dovranno quindi concentrare l’attenzione su questo canale e adeguare i propri strumenti di analisi a questa tendenza.

Questo aspetto determina quindi una maggiore concentrazione anche delle competenze tecniche richieste dalle aziende per gestire al meglio questi strumenti e valutare scelte di investimento su tecnologie dedicate.

Vedi il nostro Catalogo Formazione e preparati a cogliere le sfide della Mobile Trasformation!

Facebook e WhatsApp “uniscono” le informazioni. Come evitare l’assalto pubblicitario

27 Ago , 2016,
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L’app di messaggistica WhatsApp ha annunciato ieri la novità. Si può rifiutare l’utilizzo delle informazioni per personalizzare i messaggi pubblicitari

Fonte: il corriere.it; wired.it

Facebook e WhatsAppE’ ormai all’ordine del giorno la constatazione di quanto la tecnologia ci stia “facilitando” l’accesso ad ogni tipo di necessità.

Come le sfere di vetro , la Lampada di Aladino, l’oracolo di Delfi. Tutto quelle che desideriamo e di cui abbiamo bisogno può essere trovato con un semplice clic. Non c’è nemmeno il limite dei tre desideri, per tornare all’esempio del “povero” Aldino , perchè tutto ormai è illimitato.

Il prezzo ovviamente da pagare è non avere più segreti per nessuno. Tutto quello che facciamo, pensiamo, cerchiamo, diciamo, è raccolto con cura e ingordigia attravero tutti i nostri dispositivi, ormai diventati un prolungamento, o metamorfosi della specie umana,  del nostro corpo e della nostra mente.

La nuova corsa all’oro è senz’altro ormai nelle mani di chi acquisisce e controlla i dati, e dopo che colosso di Mark Zuckerberg ha acquistato WhatsApp  nel febbraio del 2014 ,  molto “oro” è stato accumulato nelle mani del padre di Facebook. Certo allora  la promessa da ambo le parti , fu quella di non mischiare servizi e dati, soprattutto in considerazione del fatto che il social network si basa sulla vendita di pubblicità mentre l’app verde è priva di annunci. Adesso qualcosa è cambiato: una serie di informazioni relative a WhatsApp, come il nostro numero di telefono o gli accessi alle finestre di dialogo, verranno condivise con Facebook, Instagram o Oculus con il resto del gruppo di Menlo Park.

L’iconcina verde del telefono che parla, ha  tenuto a sottolineare, che non vengono coinvolti i contenuti degli scambi: la crittografia end to end introdotta in aprile su WhatsApp, impedisce a chiunque di vedere testi o fotografie in transito da un dispositivo all’altro.

WhatsApp e Facebook inizieranno a parlare di noi alle nostre spalle: Traduzione del cambio nei termini di servizio avvenuto recentemente all’interno dell’app di messaggistica e dettagliato con un post sul blog relativo.

Accettarlo significa dare il permesso alle due piattaforme di scambiarsi una serie di informazioni sui propri account; sarà principalmente WhatsApp a inviare dati a Facebook, dati che includeranno tra le altre cose il numero di telefono utilizzato per la registrazione.

Tranqulli, le informazioni non saranno ovviamente rese pubbliche, ma rimarranno a discrezione del gruppo guidato da Mark Zuckerberg. Quel che la piattaforma di messaggistica sta cercando di fare è ottenere un profilo migliore dei singoli utenti: collegando i numeri di telefono con i loro profili su Facebook, il social network sarà in grado di suggerire amici e potenziali conoscenti in modo più efficiente, a tutto vantaggio degli utenti finali ma del sito stesso, che godrà di un numero di interconnessioni maggiore tra i suoi membri.

Rassicurati da queste accorte comunicazioni, spesso nemmeno lette prima di procedere e continuare a inviare i nostri “importanti” messaggi, non possiamo certo dire di aver stipulato una assicurazione sulla nostra privacy (cosa ormai abbandonata da tempo).  Il social network da 1,7 miliardi di utenti potrà comunque attingere (anche) a questi dati per inviarci messaggi pubblicitari sempre più mirati quando navighiamo sulla sua piattaforma o per consigliarci potenziali amici da aggiungere alla nostra cerchia. Potrà capitare di vedere fra i suggerimenti di Facebook il nome e il volto di una persona con cui si è appena entrati in contatto su WhatsApp. O di imbatterci sul social network nella pubblicità di un’azienda che conosce il nostro numero di telefono.

Non solo, anche l’applicazione di messaggistica da più un miliardo di utenti si sta per aprire direttamente alle imprese. L’intenzione,  adeguatamente mirata al rispetto della “nostra volontà”, non è di ospitare messaggi pubblicitari classici ma di consentire, ad esempio, alla banca di avvisarci di eventuali movimenti strani sul nostro conto, alla compagnia aerea di tenerci aggiornati sul ritardo del volo che stiamo per prendere o alla pizzeria di comunicarci che il pasto ordinato sta per arrivare.

Tutto per garantire la nostra sicurezza , facilitare la nostra vita quotidiana, dirci di cosa abbiamo bisogno appena sorge un problema, darci tutte le informazioni possibili, realizzare tutti i  nostri desideri, appunto…

Il Business per le Aziende era all’angolo da tempo. L’angolo è stato svoltato e si è aperta un’autostrada.

Il fine è duplice: profilazione a beneficio della personalizzazione della pubblicità sul social network e un più generico miglioramento dei servizi. Nel secondo caso non c’è nulla da fare, piaccia o no le due applicazioni condivideranno le informazioni. Nel primo, invece, ci si può esplicitamente rifiutare. Quando l’ultima versione dell’app chiede di accettare le nuove condizioni bisogna selezionare «Leggi tutto» e non dare subito il proprio assenso. L’opzione «Condividere le informazioni dell’account WhatsApp con Facebook» va deselezionata e il gioco è fatto.

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Come si vede nell’immagine, l’app assicura che il numero non verrà condiviso, ma fa riferimento solo a chi utilizza il suo account con un numero diverso da quello con cui lo ha attivato. Chi, infine, dovesse avere già accettato ha 30 giorni di tempo per intervenire: Impostazioni, Account e Condividi le informazioni del mio account. Questo è quello che vedremo comparire sui nostri display.

 

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La novità verrà testata nei prossimi mesi, ed era stata annunciata a inizio anno, e sembra propendere per la creazione di chat ufficiali cui potremo decidere o meno di aderire — ma che saranno anche sfruttate per inviarci consigli su prodotti o servizi da acquistare in base alle nostre preferenze — e non dovrebbero interromperci durante le chiacchierate canoniche (o meno canoniche…).

Non ci resta quindi che vedere come saranno esauditi i nostri desideri, compresi quelli di Aladino.

 

 

Big Data e Business Intelligence: Un lusso non per pochi.

27 Nov , 2015,
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Così anche le aziende italiane cercano di prendere le decisioni migliori.La crescita del mercato italiano dei Big Data Analytics.

Fonte: Osservatori.net Digital Innovation; Corriere Comunciazioni; Nòva Il Sole 24


big-data-1La competitività delle aziende, ormai non solo più delle Grandi, si gioca sempre di più intorno alla capacità di “prevedere” e “decidere” al momento giusto. Questo in sostanza il ruolo svolto dalle metodologie Big Data e Business Intelligence.

Per questo oggi il potenziale strategico della gestione aziendale è legato alla possibilità di aumentare l’efficacia nei processi decisionali.

L’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence, che ha presentato di recente il rapporto annuale, indica che il mercato italiano degli Analytics vale 790 Milioni di euro, con un incremento del 14%, di cui gran parte concentrato sul Big Data Analytics.

Se da un lato le imprese italiane hanno compreso ormai l’importanza di estrarre insight dai dati, dall’altro sono ancora lontane da applicare vere e proprie strategie di data driven. La partita sarà quindi rilevante su come sia possibile utilizzare al meglio la “materia prima” o il “semi lavorato”, ovvero decidere se applicare sistemi di gestione dei dati in forma strutturata o destrutturata.

Si può dire ormai che ci stiamo avviando verso l’era in cui la vera ricchezza non è costituita più dalle risorse materiali e finanziarie generate o realizzate, ma dalle informazioni raccolte. Maggiori sono le fonti informative disponibili, maggiore è la possibilità di ridurre i margini di errore nelle decisioni. Le aziende italiane comprendono ormai che gli Analytics rappresentano una fonte di vantaggio competitivo e uno strumento di evoluzione del modello stesso di impresa. Ma come utilizzare al meglio le motodologie per gestirle?

L’indagine dell’Osservatorio indica che l’orientamento prevalente (84% del campione analizzto) è verso l’utilizzo dei dati strutturati, ma in previsione saranno sempre più rilevanti quelli destrutturati. Probabilmente i contesti di applicazione giocheranno un ruolo importante in questo senso, così come l’organizzazione aziendale e le professionalità coinvolte.

Nei risultati della ricerca dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School Management del Politecnico di Milano* (www.osservatori.net) emerge come “Le imprese e la pubblica amministrazione siano ormai consapevoli che quanto il patrimonio di dati permetta di estrarre preziosi suggerimenti per ottimizzare le decisioni future. Tuttavia, oggi è il momento di evolvere da preziose ‘insight’ basate sui dati ad una sistematica strategia ‘data-driven’ che permetta di acquisire vantaggio competitivo e di monetizzare servizi a valore aggiunto basati sull’analisi dei dati” . Così commenta Carlo Vercellis, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Big Data Analytics e Business Intelligence.

Ecco che diventa necessario un percorso di “evoluzione delle organizzazioni verso un approccio integrato, quello che abbiamo chiamato Big Data Journey” avverte Alessandro Piva, Responsabile della ricerca dell’Osservatorio Big Data Analytics e Business Intelligence . “Serve una pianificazione strategica con una visione di lungo periodo, la ricerca di competenze e modelli di governance innovativi, nuovi approcci tecnologici e nuove modalità di gestione dei dati”

Si tratta ormai di un orientamento che tutte le imprese devono in qualche modo seguire, non solo un “lusso” per medio-grandi aziende, quindi. Le attuali condizioni di mercato, le nuove opportunità tecnologiche e le spinte anche di politica economica dovranno spingere le PMI a sperimentare e ad investire di più e meglio in questi sistemi che, per il management d’azienda, diventano vere e proprie “librerie” di conoscenza aziendale interna ed esterna.

Il 26% delle organizzazioni si è dotata di un Chief Data Officer, il 30% ha nel proprio organico figure di Data Scientist, anche se la responsabilità degli Analytics in maggioranza resta al CIO o altro decisore IT.

In base ai dati emersi, la funzione aziendale che utilizza maggiormente soluzioni di Analytics si conferma quella del marketing & vendite (77%), seguita da amministrazione, finanza e controllo (76%), sistemi informativi (60%), acquisti (55%), produzione (44%), supply chain (43%), risorse umane (31%), ricerca & sviluppo (20%).

Interessante riflessione si apre però sulla valutazione sull’utilizzo dei dati e sulla loro efficacia.

I dati a disposizione delle singole funzioni sono principalmente generati dalla funzione stessa (47%) o da altre aree aziendali (37%), mentre solo il 16% proviene da fonti esterne. Gli strumenti di analisi dati più utilizzati sono quelli di visualizzazione dati e informazioni (65%) e quelli per la produzione di reportistica (68%). Solo il 19% ritiene che le soluzioni di analisi dei dati forniscano un supporto efficace alle proprie necessità, mentre il 40% giudica il supporto appena sufficiente, il 25% nullo, il 16% pensa che siano troppo numerose ed eterogenee.

Per cogliere appieno le opportunità offerte dagli Analytics, sempre più organizzazioni stanno introducendo nuovi ruoli di governance, come il Chief Data Officer – presente oggi nel 26% delle organizzazioni – o nuove figure professionali come il Data Scientist – presente nel 30% -, anche se nella maggior parte dei casi queste figure non sono non ancora codificate formalmente.

Rispetto allo scorso anno, vi è una crescita notevole della diffusione di queste figure, a conferma di una maggiore maturità e consapevolezza delle aziende. Ad oggi, tuttavia, il responsabile delle attività di controllo e gestione dei sistemi di Analytics si conferma essere il CIO o un IT decision maker nel 52% delle organizzazioni, mentre nel 22% è il Business intelligence manager. I casi in cui la responsabilità è in mano al Chief Data Officer o a un Data Scientist sono marginali (4%).

E’ chiaro quindi che il quadro degli investimenti futuri delle aziende (+44% previsto per il 2016) sarà sempre più orientato verso questi orizzonti, sia in termini di tecnologie da implementare che di risorse umane impiegate. Le competenze per la gestione dei Big data sono ritenute la sfida organizzative più rilevante per la trasformazione digitale delle imprese nell’anno in corso secondo il 22% dei CIO.

La ricerca ha coinvolto dell’Osservatorio, ha coinvolto 91 Cio, Responsabili IT e 160 c-level di altre funzioni di medie e grandi organizzazioni, e ha analizzato oltre 100 player dell’offerta tramite interviste dirette o fonti secondarie.

Le iniziative di Business intelligence sono ampiamente diffuse tra le aziende italiane (nel 48% delle aziende analizzate sono già utilizzate a regime) mentre molto più rari sono i sistemi di Big Data per cui non ci sono ancora progetti avviate per la maggior parte del campione analizzato (56%)

Analizzando gli ambiti applicativi di Analytics si possono identificare diversi livelli di maturità:

  • In crescita: molto diffusi e con interesse potenziale alto, il CRM analytics (presente nel 56%), finance & accounting analytics (52%), top management dashboard Solutions (41%);
  • Emergenti: poco diffusi ma con interesse potenziale elevato, e-commerce analytics (18%), customer experience analytics (11%), Social & Web analytics (7%);
  • Nicchie: di particolare interesse per alcuni settori, come Security analytics (8%), telcommunication analytics (8%), transportation analytics (2%);
  • Consolidati: con buoni tassi di diffusione ma tassi di crescita limitati, come Supply chain analytics (29%), Human Resources analytics (26%), production planning & Sales (26%).

 


Banda Ultra Larga. Finalmente la svolta?

13 Ago , 2015,
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I primi 2,2 Miliardi messi a disposizione dal Governo interesseranno le aree più depresse.

Fonti: Ministero Sviluppo economico (MISE),

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I dati dell’Italia, rispetto al resto d’Europa, per copertura sulla Banda Ultra Larga, ci collocano come fanalino di coda solo davanti alla Grecia che, guarda caso, abbiamo superato nell’ultimo anno. Mentre il mondo viaggia sull’autostrada noi continuiamo a viaggiare nei sentieri di campagna.

 Gli investimenti del Governo in questi anni su questo fronte sono risultati del tutto inefficaci, se non addirittura inesistenti. La partita che quindi si sta aprendo a seguito dell’annuncio in Conferenza stampa da parte del presidente del consiglio Matteo Renzi del 6 agosto scorso, sembra appena cominciata. Ma il gioco è ancora aperto?

In Francia ci sono già connessioni 500 Megabit, nelle case. Nell’Est e Nord Europa, Stati Uniti, Singapore, Corea del Sud, Giappone e Hong Kong ci sono 1-2 Gigabit al secondo (da noi sono velocità da grandi aziende). Tutto questo è possibile solo con fibra ottica nelle case, ma gli operatori italiani hanno deciso di puntare tanto, nel breve-medio periodo, su fibra ottica fino agli armadi, che al momento non può garantire nemmeno i 100 Megabit.

Il via libera arriva dal CIPE, che ha dato l’ok per l’assegnazione di 2,2 miliardi di euro ” che consentiranno di partire immediatamente con la fase attuativa”.

Questa partenza, forse ormai tardiva però, deve essere accompagnata da altre risorse, che saranno conferite al Piano con successivi provvedimenti normativi ancora tutti in cantiere.

Complessivamente è previsto l’impiego di risorse per ben 4,9 miliardi di euro. Insomma dei 12 miliardi, 7 arriveranno dallo Stato e 5 da parte dei privati.

Il pubblico interverrà costruendo direttamente l’infrastruttura mentre saranno previsti incentivi e agevolazioni a favore degli Operatori che potranno fornire il sevizio sia su rete fisse che wirless.Tali incentivi andranno gradualmente riducendosi a favore delle quote private nelle aree già coperte e parzialmente coperte, mantenendo comunque opportunità di defiscalizzazione, incentivi e credito agevolato.

Sul terreno di gioco ora ci sono quindi gli Operatori, che a questo punto non possono più rimandare l’attuazione delle proprie strategie d’investimento. Per il momento il matrimonio tra Tre e Wind annunciato nello stesso giorno, ridefinisce le quote degli Operatori mobili, portando Telecom al secondo posto e Vodafone al terzo. Telecom Italia dall’altro alto ha annunciato 750 Miliardi di investimento sulla Banda Larga e si è aggiudicata, tutti i bandi di gara indetti dal Ministero per lo Sviluppo Economico, attraverso Infratel Italia, per lo sviluppo e la diffusione delle banda ultralarga nelle seguenti sette regioni: Molise, Lazio, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e, per ultima, la Sicilia.

L’Italia infatti, oltre a dover recuperare posizioni con l’Europa e il resto del Mondo, deve anche colmare il divario Nord-Sud. Per questo il nel Piano del Governo schiarisce che i primi investimenti dovranno partire dalle c.d. zone bianche, quelle a fallimento di mercato, che il piano identifica come C (dove i privati investirebbero con incentivi) e D (dove nessuno vuole investire). Queste zone ospitano il 35% degli italiani e fondamentalmente sono quelle dove persino l’ADSL stenta.

I progetti di Telecom Italia riguardano la realizzazione di infrastrutture di rete che beneficiano di un finanziamento pubblico di circa 358 milioni di euro per la componente passiva (scavi e fibra spenta) a cui si aggiungono ulteriori 394 milioni a carico di Telecom Italia, di cui 179 per la componente passiva e 215 per l’elettronica necessaria ad erogare il servizio a banda ultralarga con velocità da 30 fino a 100 Mbit/s.

Il Piano del Governo definisce quindi una strategia di investimento basata su sinergie pubbliche-private. I 12 miliardi complessivi di investimento, dovranno comporsi di 5 Miliardi provenienti da fondi privati e 7 Miliardi da fondi pubblici. Di questi ultimi 4,9 vengono da iniziative del governo e 2,1 dai Fondi strutturali Regionali.

Il Mondo delle Telecomunicazioni è quindi in fermento, e i primi colpi si stanno avvertendo sul mercato privato, sul fronte commerciale della Rete. Bisogna convincere gli utenti ad abbonarsi mantenendo canoni sostenibili e alleandosi con i fornitori di produzioni premium.

Gli ultimi dati dicono che ora le reti fibra (perlopiù “fino all’armadio stradale”, con l’ultimo tratto in rame fino a case dell’utente) sono sul 35 per cento della popolazione e saranno sul 50 per cento entro fine anno. Gli abbonati erano 902mila a marzo (secondo Agcom), contro i 776mila di dicembre, quindi adesso possiamo considerare già superata quota un milione. L’Italia ha così il più basso rapporto tra abbonati e utenti coperti, in Europa. Gli operatori devono correre per evitare di ritrovarsi con reti sotto utilizzate e quindi un grosso buco nel bilancio. Il rimedio è una doppia strategia: prezzi bassi (al punto da rivaleggiare quelli della Francia, nota “mecca” della banda larga) e contenuti premium.

L’infrastruttura della Rete sarà però strategica soprattutto però garantire al contesto produttivo e dei servizi, di competere alle stesse condizioni degli altri Paesi. La copertura della Banda ultra Larga permetterà (speriamo ancora in tempo) al sistema produttivo del nostro paese, (quello che rappresenta la nostra identità e anche il nostro vero potenziale) composto da molte medio-piccole imprese che hanno bisogno solo di “essere presenti” sul mercato e poter utilizzare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, introdurre e migliorare l’utilizzo dei servizi on line, così come gli skills ICT e della cultura digitale nei processi di lavoro. Diversi scenari infatti possono essere alla portata delle nostre eccellenze e delle nostre competenze produttive, nonché a garantire un miglior servizio socio-economico. Si pensi ad esempio alla telemedicina, al telemonitoraggio video degli anziani malati, alla tele-diagnosi, che permetterebbe di ridurre i costi della Sanità, rendendola al tempo stesso più efficiente.

La nuova rivoluzione industriale: Smart Manufacturing

6 Ago , 2015,
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La digitalizzazione non è solo una questione di comunicazione, ma è soprattutto una questione produttiva.

Fonti: Osservatori.net, Smart Manufacturing, Lo Smart Manufacturing che rilancia l’Italia, 2 AGOSTO 2015  di Barbara D’Amico, Smart factory, servono 90 miliardi l’anno nell’Ue per la quarta rivoluzione industriale, 26 febbraio 2015 di  Flavio Fabbri 

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La sfida della competitività industriale si gioca su un nuovo modo di produrre e lavorare, con l’obiettivo di velocizzare il  processo lavorativo, ottimizzare i costi e il risparmio energetico. In poche parole l’obiettivo della produzione indusriale oggi è quello di avere una produzione “intelligente” che sa svincolare le inefficenze operative e utilizzare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie per essere un “passo avanti” nelle scelte.

Quanto è importatante oggi l’informazion

e? l’espansione della digitalizzazione e la modifica delle abitudini sociali legate all’avvento delle nuove tecnologie informatiche ha prodotto e imposto un nuovo schema operativo.

Le economie c.d mature, si basano su un’approccio ormai caratterizzato dall’integrazione di informatica,  automazione,  internet delle cose. Le applicazioni dell’ICT sono diventate essenziali in diversi campi economici e manifatturieri. Ogni cosa ormai è chiamata ad essere Smart. Un modello intelligente di produzione abbastanza flessibile in grado di rispondere, ma forse ancora più di prevedere,  alla domanda dei consumatori globali portando innovazioni nei modelli di vita. Questo modello cambierà radicalmente i processi di sviluppo dei nuovi prodotti  della loro produzione, della loro distribuzione e vendita nonchè i contesti lavorativi favorendo la sicurezza dei lavoratori e permetterà un maggiore controllo sull’ambiente senza oneri burocratici e di costi di gestione.

L’adozione di software gestionali per la raccolta e l’elaborazione dei dati relativi al lavoro dei macchinari è un vantaggio enorme per le grandi industrie. Così come i sistemi che permettono ai dipendenti di lavorare da remoto allo stesso progetto utilizzando una piattaforma virtuale. In questo modo, profilati, auto, componenti per l’edilizia e la medicina, ma anche elementi per il design e l’architettura possono essere realizzati con un grado di innovazione che fa bene non solo alle tasche delle imprese ma anche al mercato del lavoro. Ingegneri informatici, data scientists ed esperti di automazione e robotica sono tra le figure più ambite dalla manifattura industriale.

Si sta verificando una graduale contaminazione che a partire dalle grandi imprese di produzione (in particolare macchinari, automotive, aereonautica) sta velocemente interesando in maniera sempre più significativa tutto l’ambito manifatturiero.

Il settore manifatturiero in Italia determina il 20% del PIL nazionale ed è la seconda manifattura europea. Si tratta quindi di un settore che è in grado di determianre le sorti dello sviluppo economico del nsotro Paese e che rappresenta una delle nostre eccellenze. E’ qui che infatti si concentrano gli sforzi per favorire l’innovazione, la Ricerca e Sviluppo, le applicazioni delle nuove tecnologie.

Come spiega un approfondito studio condotto dall’Osservatorio Manufacturing (www.osservatori.net) del Politecnico di Milano, la “quarta rivoluzione industriale”,  quella dello smart manufacturing,  è solo la naturale fase evolutiva della manifattura industriale. Uno stadio in cui app gestionali e tecnologie cloud stanno creando un nuovo modo di lavorare e produrre componenti e materiali, abbattendo costi e migliorando il risparmio energetico. Con il vantaggio di spianare la strada a figure professionali e di aumentare il grado di competitività delle imprese.

Gli obiettivi di questo nuovo paradigma tecnologico ed economico sono molteplici: raggiungere l’efficienza energetica, ridurre l’impatto ambientale (che ha un costo), ottimizzare le risorse disponibili (a partire da quelle del territorio), rendere più veloci e flessibili i processi produttivi, ridurre i costi, aumentare la produttività e la competitività, introdurre l’innovazione tecnologica negli impianti.

Soluzioni ad alto contenuto tecnologico che dovranno convergere in una strategia industriale orientata alla fabbrica intelligente (smart factory), quindi dotata di sistemi orientati alla cyberfisica, di infrastrutture wireless, di tecnologie IoT e M2M, di piattaforme per il cloud computing e la Human Machine Interface, di Additive Manufacturing (stampa 3D), di robots, di sensoristica digitale, Big Data Analytics, Wearable Devices e Advanced Automation per citare le più significative.

Nel rapporto 2014-2015 dell’Osservatorio del politecnico di Milano emerge in maniera significativa come il comparto manifatturiero italiano, stia finalmente uscendo dalla crisi economica, anche grazie alla digitalizzazione in corso nei suoi processi. Putroppo però non esiste ancora in Italia un vero e proprio sistema di sostegno, stabile e continuativo. Se da un lato le imprese italiane, virtuose, hanno iniziato ad investire nelle tecnologie Smart Manufacturing, «La situazione dello Smart Manufacturing in Italia mostra luci e ombre – commenta Giovanni Miragliotta, Responsabile della ricerca dell’Osservatorio –. I dati mostrano che le medie e grandi imprese italiane sono già attive sul tema, ma emerge l’assenza di una visione strategica, sia a livello di singola impresa sia di Paese. Fare Smart Manufacturing non è adottare questa o quella tecnologia, ma saper ‘orchestrare’ il digitale per trasformare i processi industriali come è accaduto nel terziario avanzato».


Dispositivi in dismissione? Come eliminare i dati.

21 Mag , 2015,
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daticleanCome eliminare dati in modo definitivo, nella dismissione dei dispositivi hardware

Fonte: Kroll Ontrack

La tecnologia corre. Ma i dispositivi restano. Come gestire allora l’eliminazione, dei dati che li contengono? Al termine del ciclo di vita dei computer, molte organizzazioni si ritrovano con hardware non più funzionante oppure da dismettere in quanto obsoleto e non riutilizzabile. Sia che si tratti di recuperare dati da apparecchiature non più funzionanti, sia che si tratti di eliminare dati definitivamente per rispondere ai criteri di sicurezza e privacy, è necessario ricorrere a prodotti e procedure adeguate che consentono di gestire in modo efficace queste situazioni.

In Italia, la legge sulla privacy (D.lgs 196/2003) e il successivo provvedimento del Garante Privacy del 13 ottobre 2008 (G.U. nr. 287, 9 dicembre 2008) stabiliscono l’obbligo di eliminare i dati in modo sicuro da supporti destinati ad essere dismessi, riciclati, smaltiti. La normativa prevede sanzioni penali e civili.

Lo stesso Garante Privacy nell’indicare le possibili misure tecniche idonee per la cancellazione sicura dei dati cita software di sovrascrittura e apparecchi per la demagnetizzazione (degaussing) dei supporti.

Tra i prodotti più interessanti sul mercato, le soluzioni Kroll Ontrack  come, Ontrack Eraser Degausser, rispondono specificatamente a queste esigenze.

Questo prodotto elimina per sempre i dati dai supporti magnetici (anche guasti) per consentire alla tua azienda di gestire il fine ciclo di vita dell’hardware senza rischi, nel pieno rispetto della normativa privacy. È uno dei più potenti strumenti disponibili sul mercato per cancellare hard disk, tape e altri dispositivi di memorizzazione magnetici giunti al termine di vita utile, siano essi funzionanti o guasti. Il processo di cancellazione per demagnetizzazione (degaussing) è rapidissimo, in circa 4 secondi i dati vengono rimossi e l’hard disk è reso inutilizzabile.

Una volta che Ontrack Eraser Degausser ha completato le operazioni di cancellazione, il dispositivo o supporto di memorizzazione è totalmente inutilizzabile.

Se l’esigenza è invece quella di cancellare dati in modo sicuro con la possibilità di riutilizzare gli hard disk, bisogna invece ricorrere all’utilizzo di  prodotti software per la cancellazione sicura.

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Il successo del Private Cloud

30 Apr , 2015,
esseti
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cloud-and-service-computingPuntare sull’ Hosted Private Cloud per facilitare il successo delle aziende. Dell top performersecondo Forrester Research

Fonte: Dell.com Community 

Il sistema Private Cloud sono pensati per  creare Virtual Data Center contenenti server virtuali, firewall e reti, con possibilità di espansione o riduzione a seconda delle diverse esigenze del cliente.
Permettono inoltre di possedere sia risorse computazionali, sia risorse di rete ad uso esclusivo. Ciò consente di avere un maggiore controllo sulla propria infrastruttura cloud, potendo gestire in completa autonomia ed in tempo reale tutte le tue risorse.

Dell con il suo servizio Hosted Private Cloud, Dell Nube, ha ottenuto da Forrester Research nel loro recente Forrester Wave report di dicembre 2014 il titolo di top performer“. Nella relazione emerge chiaramente e dettagliatamente come Dell riece a soddisfare le esigenze dei clienti enterprise per migliorare la gestione delle infrastrutture, eleggendo quindi Dell come partner ideale per le  soluzione Hosted Private Cloud.

La soluzione Private Cloud è stata pensata e progettata appositamente per una clientela enterprise e business, che necessita di risorse garantite e che già possiede tutte le competenze per poter gestire la propria infrastruttura. Questi servizi sono quindi progettati su misura per migliorare l’efficacia di gestione e acquisire più velocemente i risultati di business. Secondo gli analisti, il 33 per cento delle aziende enterprise utilizzano una soluzione di questo tipo

Le grandi aziende, come la General Electric utilizzano proprio questi sitemi come elementi strategici per accelerare i risultati di business. 

Qual’è il motivo principale del successo di Dell nella fornitura di questi servizi, come suggerisce Forrester Research?

Dell Nube Dedicato  aiuta i clienti a navigare in sistemi cloud complessi, ed è progettato per garantire una sorta di estensione dei data center dei clienti. Dell Nube Dedicato permette dunque ai clienti di implementare in modo sicuro e affidabile le applicazioni tradizionali on cloud, sia che siano legate al Data Center privato che ad un Data Center Dell o di entrambi.

Partendo da una gestione interna quindi le Aziende possono iniziare rapidamente a utilizzare il servizio senza dover imparare nuove interfacce o modificare i propri processi. I feed back che arrivano dalle aziende che hanno avviato questo approccio segnalano che Dell Nube ha superato le aspettative

Il team dedicato di Dell Nube si estende dal Texas all’ India passando per l’Europa orientale ed è guidato da Ozan Talu. Ozan è a capo di un pool di professionisti nell’area ingegneristica, di gestione dei prodotti, consegna e logistica, sicurezza e conformità, e legati a varie altre funzioni che aiutano l’erogazione del servizio dedicato di Dell Cloud. Attraverso l’interazione continua con il Cliente, Ozan stabilisce anche la direzione strategica dei servizi cloud privati e in hosting di Dell, per assicurare che tali servizi soddisfino le esigenze dei clienti in continua evoluzione.

Di recente, il team Dell Nube Insight ha avuto la possibilità di confrontarsi in un dibattito con Ozan per affrontare queste tematiche e dibattere sul ruolo di questi servizi nell’ambito delle organizzazioni di oggi, di come il Cloud può aiutare l’IT a trasformare la cultura organizzativa per ottenere migliori risultati di business. Guarda l’intervista .

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